Emil Cioran – Un Apolide Metafisico : Intervista estratto sulla coscienza


un apolide metafisicoOgni coscienza è sicuramente coscienza della sofferenza, non è cosi? Lei scrive, in Accenni di Vertigine: <<Se si arrivasse a essere cosciente degli organi, di tutti gli organi, si avrebbe una esperienza e una visione assoluta del proprio corpo, il quale sarebbe cosi presente alla coscienza che non potrebbe più compiere i servizi ai quali è  costretto: diventerebbe esso stesso coscienza e cesserebbe in tal modo di svolgere la sua funzione di corpo>>.



Credo che ognuno di noi possa aver fatto questa esperienza. E’ evidente che la nostra fortuna è per l’appunto la solita storia della Bewusstsein als Verhangnis, della coscienza come fatalità, come pericolo. E’ chiaro che la coscienza è veramente nemica della vita. Si sa che appena siamo coscienti di un movimento (lo dice Kleist in Sul teatro di marionette) non possiamo più farlo. Lo facciamo male.
Quando ci si analizza,quando si pensa al proprio corpo, quando si pensa ai propri occhi, a ogni cosa, di colpo ci si domanda: ma com’è possibile…? Si ha l’impressione che niente possa più funzionare. Che tutto sia privo di senso. Che gli organi stiano per dare le dimissioni, stiano per ritirarsi. Attraverso l’inazione si può giungere a una sorta di coscienza totale dei propri organi, ma è un esperienza che non è né raccomandata né raccomandabile. E’ estremamente pericolosa, e può portarci soltanto al tracollo. E’ molto probabile che le persone che si interrogano di continuo sul loro meccanismo fisico siano depresse proprio per questo, per il fatto di essere coscienti dei propri organi. Non si deve assolutamente esserlo. Potrei scendere nei dettagli, ma credo sia meglio di no.



emil cioranMa allora per far cessare la sofferenza che si accompagna alla coscienza bisognerebbe sopprimere tutta questa coscienza, questa coscienza che ci fa percepire anche quello che ci fa piacere, quello che ci fa bene. Ma non sarebbe come gettare il bambino insieme all’acqua del bagno? Se si è cosi dolorosamente coscienti delle cose, si ha solo la scelta tra l’oblio e l’illusione. Per sfuggire alla sofferenza non ci resta dunque altra soluzione che sopprimere la coscienza ?



Non si può sopprimerla. Se si votato alla rovina, se ad esempio persiste in te l’istinto di distruzione, non hai scampo, sei spacciato. Certo si può sempre crollare, il crollo è una soluzione.Ma non si può essere padroni del proprio corpo. Penso ad una cosa che mi è capitata molto di recente. Due settimane fa ho ricevuto una lettera. Avevo un amico che faceva il fotografo. Non era un filosofo, aveva letto pochissimo, ma era un uomo totalmente privo di illusioni. L’ho conosciuto alla fine della guerra. Quando parlavo con lui, a volte mi sentivo un ingenuo. E quest’uomo, a sessant’anni ha sposato una ragazza e avuto un figlio. Allora gli ho detto: <<Ma insomma, lei che non si fa illusioni su niente, come ha potuto fare una cosa simile?>>. E lui: <<Eppure è successo, mi sono invaghito di questa donna…>>. Trovo che la cosa veramente bella della vita sia aver perso ogni illusione e ciononostante fare un atto di vita, essere complici di una cosa come questa.Essere in totale contradizione con quello che si sa. E se la vita ha qualcosa di misterioso è appunto questo, che pur sapendo ciò che si sa, si è capaci di compiere un atto che va contro il proprio sapere. E devo dire che quel fotografo era davvero una persona molto seria, ci fu un periodo in cui ci vedevamo spesso, ma poi ci siamo persi di vista, l’ultima volta che ci siamo incontrati è stato sette anni fa, perché lui, essendo un ebreo tedesco, è tornato in Germania. E mi ha fatto una grande impressione ricevere la lettera di suo figlio, che il giorno stesso della morte del padre mi scrive: <<Prima di morire mio padre ha pensato a lei, e mi ha chiesto di scriverle due righe,>> – glielo racconto per vanità – <<i suoi libri lo hanno accompagnato in tutti questi ultimi anni>>. Quando si riceve una lettera simile viene da pensare che in fondo valga la pena di scrivere, ci si sente giustificati, se vuole. Perché quell’uomo che aveva superato tutto, che non credeva assolutamente più in niente, che aveva potuto innamorarsi e commettere quell’atto imprudente che è il matrimonio e avere un figlio… questa contraddizione fra il proprio sapere e le proprie azioni dona alla vita una dimensione misteriosa e in un certo senso la riscatta.Non credo che valga la pena lanciarsi in grandi teorie metafisiche su cosa sia il mistero ecc.., questo è il mistero: che si possa fare qualcosa che è in contraddizione con tutto ciò che si sa. Una sorta di avventura, e quindi di follia.   

  © Il Monologo

 

antivirus gratis

Torna Sopra